
04 Mar Coronavirus cosa ci ha insegnato.
Coronavirus l’allarmismo è il peggior contagio
Sono stato spettatore della psicosi che ha portato a drastiche misure di sicurezza, una sorta di psicosi collettiva, l’assalto di supermercati e la ghettizzazione di supposti untori provenienti (o riconducibili in qualche modo o maniera) dalle zone con casi di contagio.
Cosa è successo?
Possiamo trarre qualche insegnamento da quanto è successo? Ovviamente ritengo di sì, ogni evento può insegnare qualcosa a chi ha l’attenzione e la consapevolezza necessarie.
Coronavirus e la stampa sensazionalista, catastrofista e allarmista!
Le informazioni che prendi costruiscono la tua realtà, che tu lo voglia o meno.
L’apertura dei radiogiornali (non ho la TV ma immagino che i telegiornali abbiano seguito la tendenza) con il conto delle vittime e i contagiati non ha certo aiutato.
Il cervello umano segue delle scorciatoie per rendersi la vita più facile e scegliere più velocemente, si chiamano Euristiche. Ne esistono di molti tipi e le metti in pratica ogni giorno senza accorgertene.
Una di queste ci aiuta a prendere decisioni in relazione alle informazioni più facilmente disponibili. Se i media parlano esclusivamente di contagiati la nostra mente si focalizzerà sul pericolo! Proporrà immagini in linea con questa percezione. Risveglierà ansia, paura e preoccupazione… insomma farà il suo lavoro con le informazioni che ha!
Chi ha fatto una seria ricerca per capire effettivamente quanti morti e che condizioni di salute avevano, al di là del coronavirus?
Qualcuno ha letto giornali stranieri alla ricerca di un punto di vista differente?
Esistono persone che hanno cercato i dati di chi è guarito?
Chi ha variato le fonti di informazione per capire se i dati erano parziali e non rappresentativi?
Qualcuno si è informato da fonti autorevoli come medici, biologi, istituto superiore di sanità?
Ecco il primo insegnamento del coronavirus: indagare, informarsi, scegliere i canali da cui prendere informazioni, confrontarsi con una molteplicità di fonti.
Spezzo una lancia per i nostri giornalisti che, da circa una settimana, aprono le news con i guariti e contestualizzano le morti in relazione all’età e a patologie già in essere prima del coronavirus. Meglio tardi che mai!

Coronavirus, zone rosse e approvvigionamenti
L’assalto ai supermercati è cominciato, almeno dalle mie parti, con l’istituzione delle prime zone rosse, presidiate dall’esercito.
Non entro nel merito dell’utilità di questa disposizione. Certamente molti hanno cominciato a visualizzare l’idea di supermercati vuoti, mancanza di approvvigionamento, scarsità.
Facendo scattare il bias cognitivo della disponibilità. Questa scorciatoia del nostro cervello fa assumere un’importanza spropositata per ciò che riteniamo di scarsa disponibilità.
Ad esempio: chi vive in Italia si permette di sprecare acqua potabile per il gabinetto, per lavare i pavimenti e i piatti, la usa abbondantemente e in maniera inconsapevole. Cosa ne sarebbe di queste abitudini se improvvisamente, avessimo acqua che esce dai rubinetti per due ore al giorno e basta?
Lo scenario (del tutto arbitrario) che si è affacciato alla mente delle persone ha fatto scattare l’esigenza (utilissima in caso di vera scarsità di risorse) di fare provviste. Se ci mettiamo l’allarmismo di cui sopra, la parzialità d’informazioni, ecco che l’assalto ai negozi trova una spiegazione un po’ più consapevole del comportamento di alcuni.
Anche qui sarebbe bastato qualche ricerca più approfondita, confrontandosi con altre realtà. Una visone più generale che avrebbe ridimensionato l’idea di rimanere senza cibo o acqua.

Dal Coronavirus una situazione non sotto il tuo controllo
Le disposizioni governative (anche qui non entro nel merito di validità o efficacia) hanno costretto molti a cambiare abitudini, qualcuno a chiudersi in casa, chiudere o ridimensionare l’attività che dava sostentamento.
Anche il mio campo ha sentito forti ripercussioni. Molte corsisti hanno ritirato le iscrizioni ai corsi in aula. Le sessioni di coaching e counseling che non potevo fare via Web ho dovuto rimandarle. I miei corsi di arti marziali li ho dovuti chiudere. Ritrovandomi con buchi di tempo che duravano intere giornate.
In questa situazione mi sono chiesto cosa è sotto il mio controllo per ridurre l’impatto di ciò che sta succedendo nella mia vita.
Quindi ho lavorato molto al blog, approfondito gli strumenti che mi servono per un progetto di e-learning, fatto diverse chiamate a clienti per sentire come stavano e rassicurarli sui corsi rimandati e garantito il mio supporto via Web o telefono.
Insomma, nonostante il coronavirus, consapevolizza su quali aspetti puoi intervenire per diminuire l’impatto del disagio. Oppure quali occasioni si aprono in questo nuovo scenario.
Quello cui abbiamo assistito è frutto della mancanza di consapevolezza delle persone comuni. Consapevolezza di come funziona la comunicazione, di come agisce e reagisce il nostro cervello, di quale spazio di manovra abbiamo in ogni situazione, anche la più disperata.
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