
25 Nov Mito delle 10000 ore e vera eccellenza
Il mito delle 10000 ore nella formazione
spesso, nel mio lavoro, incontro concetti erogati con troppa superficialità. Studi distorti da un’approssimazione imbarazzante da certi formatori che si limitano a ripetere ciò che hanno imparato, senza entrare minimamente nel merito.
Il mito delle 10000 ore (dopo le % di Albert Merhabian) credo sia uno dei concetti più travisati. Questo concetto è emerso dagli studi dello psicologo Anders Ericsson che hanno riguardato un gruppo di violinisti. Lo psicologo ha diviso il gruppo in tre sottogruppi: i fuoriclasse, quelli con abilità media e quelli poco performanti.
Analizzando le loro strategie di apprendimento, ha scoperto che la differenza più grande fra i tre gruppi, erano le ore di pratica. Tipicamente il primo gruppo si superava le 10000 ore, mentre il secondo e il terzo ne vantavano molte meno (intorno alle 5000 il secondo e meno di 4000 il terzo).
Da qui lo psicologo ha dedotto che ore di pratica= eccellenza nella prestazione.

Il mito delle 10000 ore confuta il concetto di talento
Un merito certo dello studio è la confutazione del concetto di talento. Se mi segui da un po’ sai cosa ne penso (se vuoi leggi qui l’articolo) del talento…
tuttavia affermare che basta allenarsi per 10000 ore per diventare un fuoriclasse in ogni campo mi sembra troppo semplicistico. Al di là delle inclinazioni personali, cioè della passione o meno per una disciplina, della motivazione a eccellere, c’è da considerare un elemento importante.
La pratica alleata dell’eccellenza
Certo che ogni abilità ha bisogno di allenamento. In ogni campo della tua vita, hai iniziato ad agire mettendo attenzione e concentrazione a ogni movimento (ricorda la prima volta che hai provato a guidare ad esempio). In quei primi tentativi, il tuo cervello, è completamente concentrato su ogni singolo passaggio o movimento, non c’è spazio per altro. Qui ci vuole totale concentrazione, le distrazioni sono deleterie (come guardare la televisione mentre si studia).
Poi, allenamento dopo allenamento, quella particolare abilità viene interiorizzata, diventa automatica (nel tuo cervello si sono rafforzate le connessioni che rappresentano quello schema) la puoi eseguire con meno attenzione, riuscendo pure a pensare ad altro.
L’automatismo consente al cervello di risparmiare energia. La mente crea uno schema automatico (ad esempio il guidare) che diventa una routine consolidata e si replica tutte le volte che è necessario… replicando anche gli errori!
Qui si separano le strade dell’eccellenza e della mediocrità! Chi vuole eccellere non si accontenta dei primi automatismi conquistati, ma si sforza per correggere piccoli e grandi errori, perfezionarsi e migliorare l’esecuzione.
Nel mito delle 10000 ore non è presente il concetto di qualità della pratica. Di imitazione del modello d’eccellenza e di feedback sulla propria prestazione! Allenarsi non basta per raggiungere l’eccellenza, serve allenarsi con consapevolezza!
Feedback e modello d’eccellenza
Per eccellere davvero è necessario affinare ogni movimento, perfezionare, avere un riscontro sulla propria prestazione (da un esperto) e mettere in campo la strategia appropriata. Qui entra in gioco l’importanza di avere un maestro.
L’automatismo non entra nei particolari dell’esecuzione. Imparato a suonare un brano musicale, continuerai a suonarlo allo stesso modo se qualcuno non ti mostra che ci sono errori. Dopo di che devi agire con l’attenzione consapevole. Cioè ritornare all’atteggiamento di chi impara con consapevolezza e affinare quel movimento. Fatto questo, se vuoi l’eccellenza, ci sarà certamente qualcosa da sistemare e il procedimento rincomincia da capo.
Gli esperti resistono attivamente alla tendenza all’automatismo, predisponendo esercizi in cui l’obiettivo da raggiungere superi il loro attuale livello di prestazioni.
La pratica consapevole
il mito delle 10000 ore non tiene conto della qualità della pratica e dell’attenzione che la persona mette al miglioramento.
Nella mia esperienza marziale di Qwan Ki Do – Kung fu sino vietnamita, non è raro trovarsi fra istruttori e scoprire che, certi movimenti, sono diversi. Vivendo a grande distanza, con poche possibilità di confrontarsi, ecco che la ripetizione sistematica dell’errore ha… sistematizzato l’errore. L’esecuzione, non propriamente perfetta, si è radicata in noi. Senza modelli di riferimento, e opportuni feedback, si è allenata un’esecuzione compromessa che, anche dopo 10000 ore di ripetizione, rimane un’esecuzione non eccellente.
Nella pratica marziale noi chiamiamo il percorso di apprendimento Dao (la Via, anche se riguarda un concetto un po’ più ampio del semplice apprendimento), la quale deve diventare più accidentata e impegnativa per il praticante esperto, altrimenti il suo livello non migliora!
Questo spiega perché le arti marziali (e ogni altra disciplina) si migliorano sotto la guida di un maestro, non leggendo un libro o guardando un video!
Il coaching è la metodologia che più aiuta il miglioramento della performance. Identificando i tuoi punti di forza, lavorando in maniera consapevole sulle aree di miglioramento, puoi raggiungere l’eccellenza!
Per un colloquio gratuito e senza impegno scrivimi ora.