
16 Mar Cattivi si diventa?
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Cattivi si diventa?
La risposta a questo quesito infiamma ancora molti professionisti (psicologi, sociologi, politici…).
La cattiveria (qualunque cosa intendiamo con questa parola) è innata o si sviluppa?
Alcuni individui sono cattivi a prescindere o per colpa dell’ambiente in cui sono inseriti?
Un esperimento dimostrerebbe che cattivi si diventa
L’esperimento di una prigione simulata, eseguito presso l’Università di Stanford dal professor Philip Zimbardo, sembrerebbe dimostrare che cattivi si diventa.
La prigione di Stanford fu un esperimento psicologico del 1971. Volto a indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono definiti soltanto dal gruppo di appartenenza.
Nell’esperimento vennero selezionati 24 studenti universitari di età compresa tra i 20 ed i 30 anni. Venne loro casualmente assegnato il ruolo di prigionieri o guardie carcerarie. L’interrato dell’università divenne la prigione.
Presto le persone incominciarono ad immedesimarsi in modo estremo nei loro ruoli. Le guardie carcerarie iniziarono a manifestare tendenze sadiche e i prigionieri mostrarono passività e depressione. La maggior parte dei prigionieri era emozionalmente traumatizzata; cinque soggetti dovettero essere rimossi precocemente.
Dopo solo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all’interno delle celle inveendo contro le guardie. I guardiani iniziarono a intimidirli e umiliarli, cercando in tutte le maniere di spezzare il legame di solidarietà che si era sviluppato fra essi. Le guardie costrinsero i prigionieri a cantare canzoni oscene, a defecare in secchi che non avevano il permesso di vuotare, a pulire le latrine a mani nude.
Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi di disgregazione individuale e collettiva. Il loro comportamento era docile e passivo. Il loro rapporto con la realtà appariva compromesso da seri disturbi emotivi. Le guardie invece continuavano a comportarsi in modo vessatorio e sadico. A questo punto i ricercatori interruppero l’esperimento suscitando la soddisfazione dei carcerati e un certo disappunto delle guardie.

Critiche all’esperimento di Stanford
A seguito della pubblicazione delle conclusioni di Zimbardo sul New York Times Magazine, l’esperimento fu contestato da molti studiosi che ne criticavano le imprecisioni metodologiche e la conduzione. Oltre al fatto che non fosse stato presentato a una rivista scientifica per l’analisi di altri psicologi sociali, prima di darlo alla stampa.
Nel 2001 due studiosi di psicologia britannici: il professor Alex Haslam dell’Università di Exeter e il professor Steve Reicher dell’Università di St. Andrews, provarono a replicare l’esperimento.
Durò nove giorni, due meno del previsto, ed ottennero risultati molto differenti rispetto a quello di Zimbardo. I ricercatori giunsero alla conclusione che le condizioni per la nascita di una tirannia implicano: la formazione autonoma di un gruppo con una leadership ben definita. Che lo stesso gruppo definisca un progetto autoritario con cui risolvere i problemi concreti.
Quindi cattivi si è o si diventa?
Non ho una risposta certa, dalla mia esperienza (e quella di numerosi colleghi con cui mi sono confrontato) ho imparato che le persone possono cambiare (e anche parecchio) nel bene o nel male.
Dentro ognuno di noi ci sono tensioni verso il bene e verso il male (che per me significa la soddisfazione dei propri bisogni a discapito degli altri). Proprio come la bellissima leggenda Cherokee sui due lupi che lottano continuamente in noi.
Azioni buone, gestione delle proprie emozioni, empatia e consapevolezza ci possono guidare sulla via del bene. Saper accettare ciò che la vita ci pone davanti e non possiamo controllare, costituisce un grande passo avanti per vivere una vita consapevole.
Azioni cattive, farsi guidare dalle emozioni, attenzione esclusiva a sé ci fanno scivolare nella cattiveria. Lottare contro ciò che non possiamo cambiare è frustrante e ci costringe a cercare bersagli reali intorno a noi… proprio fra le persone più vicine.
Ma questo è il mio temperamento!
Vero! Se hai agito determinati comportamenti e costruito abitudini per gestire le piccole grandi crisi quotidiane, le persone intorno a te, le relazioni professionali e personali… hai costruito (allenato) un tipo di carattere. Ma da ora puoi fare cose diverse. Iniziando dal piccolo e ricorda che:
Il temperamento non è il destino
Allenamento e abitudine.
In sostanza le azioni che agiamo di più, gli atteggiamenti abituali, il modo preferito che abbiamo per relazionarci con gli altri, costituiscono quello che solitamente chiamiamo “il nostro carattere”. Qualcosa che possiamo , poco alla volta, indirizzare.
Ogni volta che resisti a un commento crudele, o a prenderti quella rivincita contro una persona che ritieni ti abbia fatto un torto. Ogni volta che fai un passo indietro in una discussione, lasciando spazio alla comprensione del punto di vista dell’altro. Ogni volta che ti accorgi del disagio di qualcuno e cerchi di alleggerirlo… ecco che stai allenando la parte buona di te. Facendo diventare questo comportamento un’abitudine. Al contrario… altri tipi di azioni e atteggiamenti… allenano l’altra parte di te.
Prendere in mano la tua vita, le tue abitudini e il modo che hai di relazionarti con gli altri è una tua responsabilità. Con un counsellor puoi costruire percorsi mirati per allenare abitudini più utili alla tua felicità.
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