
11 Ott Capo pessimo, come riconoscerlo
Capo pessimo? No grazie
Tendenzialmente tutte le realtà aziendali concordano che, formare i propri manager, dal punto di vista della relazione e del rapporto con i propri team sia una della chiavi per performare meglio… tuttavia, nel concreto, poco fanno per rimediare a un capo pessimo che affossa i collaboratori, il team e la performance.
Un capo pessimo è un guaio per l’azienda!
Gli studi esistono, un capo pessimo rende meno e fa rendere meno il suo team. Eccone qualcuno:
- Gallup: Employee Engagement Insights for the U.S. (2017) – Nell’indagine condotta da Gallup nel 2017 ha rilevato che i dipendenti che hanno un rapporto positivo con il proprio manager hanno il 70% di probabilità in più di essere impegnati nel proprio lavoro.
- Harvard Business Review: The Empathic Leader (2014) – La Harvard Business Review nel 2014, ha scoperto che i team guidati da manager che sono empatici e che si prendono cura dei propri collaboratori sono più produttivi del 29%.
- University of Michigan: Employee Engagement: A Review of Recent Literature and Its Implications for HR (2012) – Questo studio della University of Michigan ha rilevato che i dipendenti che si sentono apprezzati e riconosciuti dal proprio manager sono più propensi a rimanere in azienda.
- Society for Human Resource Management: Employee Engagement: A Survey Report (2011) – L’indagine del 2011 della Society for Human Resource Management ha rilevato che i dipendenti che hanno un buon rapporto con il proprio manager sono più propensi a raccomandare la propria azienda come luogo di lavoro.
- University College London: The Impact of Leadership on Employee Wellbeing (2010) – lo studio del 2010 del University College London ha rilevato che i dipendenti che si sentono supportati dal proprio manager sono meno propensi a soffrire di stress e burnout.
Ne ho elencati solo cinque, ma ne puoi trovare decine che dimostrano quanto una buona leadership sia legata alla performance.
Un capo pessimo ostenta il suo potere.
Ritiene che la posizione lo metta su un piano superiore agli altri. L’arroganza è il suo modo di relazionarsi, si evince dalla sua comunicazione, dall’attenzione che dà (o non dà) ai collaboratori, all’incapacità di valorizzare critiche e punti di vista diversi. È intimidatorio e interpreta il timore dei sottoposti come un segnale positivo.

Il capo pessimo non comunica
Buona comunicazione significa confronto e ascolto, un capo pessimo non è in grado di fare nulla di tutto questo. Non ascolta in quanto ritiene di avere già tutte le risposte e le istanze (che lui definisce lagnanze) dei sottoposti non sono da prendere in minima considerazione. Non sa comunicare (o non è interessato a comunicare), anzi potrebbe persino rendere più complicate le sue istruzioni per mettere in difficoltà i collaboratori, lasciarli nell’incertezza. Sminuisce le opinioni degli altri chiudendosi in un atteggiamento apodittico sulle proprie.
Maniaco del controllo
Il capo pessimo controlla tutto e tutti, tipicamente non si fida delle persone, nella sua concezione di mondo un capo deve controllare e punire. Per lui la parola “autonomia” è un pericoloso nemico da sconfiggere. Inflessibile su regole, scadenze, funzioni ecc. senza sé e senza ma, teme che mostrarsi più flessibile lo possa far apparire debole agli occhi degli altri. Ogni cosa va fatta come dice lui, altrimenti scatta la punizione.
Un capo pessimo è nemico dell’iniziativa
Mostrare spirito di iniziativa è il miglior modo per farsi nemico un capo pessimo. Avere iniziativa è un segno di autonomia, forza e capacità, tutto ciò è visto dal capo pessimo come una sfida alla sua autorità. Si fa ciò che dice lui, punto. In questo modo perderà i migliori e più attivi collaboratori che cercheranno luoghi dove poter fare la differenza e valorizzare i propri talenti.

Ignora i bisogni dei collaboratori
Magari non lo fa in maniera consapevole, ma di fatto non considera minimamente i bisogni di chi lavora con lui. Per un capo pessimo il lavoro è questione di procedure, routine e risultati, il resto si lascia fuori dall’ufficio. Chi non lo fa è tacciato di cercare scuse per non lavorare o fare male il lavoro affidatogli. Vede le persone solo come lavoratori e in funzione del loro ruolo, tutto il resto non gli interessa.
Naturalmente le persone sono molto più sfaccettate di quanto si possa descrivere in un articolo, ma ritengo di aver ben reso l’idea. Il lavoro per migliorare la propria leadership e la relazione con gli altri comincia da sé stessi, per poi inserirsi nel sistema/azienda. Spesso, negli sportelli di counseling aziendali, si lavora in team per elicitare le problematiche e dinamiche disfunzionali, condividere punti di vista e soluzioni. Aiutando al contempo il singolo e il gruppo. Con il supporto di un counselor allenare comportamenti e strategie di una buona leadership è più facile e veloce.
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