
23 Giu Scambiare mezzi e fini nuoce gravemente… all’allievo
Scambiare mezzi con fini, una scorciatoia pericolosa
Spesso, nel mio lavoro con le imprese e i team, devo ricondurre l’attenzione a ciò che è funzionale allo scopo del gruppo (i mezzi) e ciò che è lo scopo che il team si è dato (il fine). Una distinzione molto importante che, durante il percorso può essere confusa.
Nelle arti marziali abbiamo il concetto di Dao (la Via) che è appunto il percorso di crescita dell’allievo (le ore di pratica, i successi nel superare gli ostacoli, gl’insuccessi che aiutano a crescere, le prove da superare durante la crescita).
Ad esempio le competizioni dovrebbero essere un mezzo (a meno che l’obiettivo sia esclusivamente agonistico) meno importante se l’allievo vince o perde una gara, più importante è come si relaziona alla vittoria e come alla sconfitta. La domanda di ogni maestro dovrebbe essere “come posso utilizzare la competizione per aiutare l’allievo a rinforzare il proprio carattere?”
Una domanda più utile di “come faccio a far vincere al mio allievo la competizione?”
Tuttavia non siamo ingenui
Naturalmente scambiare mezzi con i fini non significa mandare allievi impreparati alle competizioni. Si affronta una gara preparandosi bene per dare il meglio, giocarsela fino in fondo, lavorare sulle aree di miglioramento e implementare le abilità dell’atleta. Facendo questo l’allievo rinforza la perseveranza, l’autocritica, la resistenza alla frustrazione e tante altre abilità che gli saranno utili ben oltre la gara… se poi vince (a me piace chiamarlo “effetto collaterale” di un buon lavoro di consapevolezza) ben venga, un minimo di gratificazione esterna piace a tutti.
Il pericolo è che il mezzo (la gara) diventi un fine per il prestigio della scuola o del maestro, dimenticando la grande importanza del percorso e dei valori che un’arte marziale tradizionale dovrebbe tenere in conto.

Mezzi, fini e “talento”
Ad esempio, immagina un allievo che potremmo chiamare “dotato” o “talentuoso” (termini che non amo e considero etichette poco utili all’allievo). Quell’allievo che performa bene anche allenandosi poco, che frequenta la palestra quando ne ha voglia ed è costante solo in vista della gara o dell’esame.
L’allievo ha ottime chance di vincere e portare lustro alla scuola… che scelta fa il maestro?
In questo caso l’area di miglioramento è la costanza, partecipare alle lezioni per praticare e non per vincere la gara o passare l’esame. È un po’ la differenza che passa fra studiare due giorni prima per superare l’interrogazione e studiare costantemente per il piacere di imparare. Portare un allievo così a una gara dà un messaggio che ritengo sbagliato.
Il maestro, davvero interessato alla crescita dell’allievo, dovrebbe spostare l’attenzione dalla performance alla costanza, spiegando bene cosa si aspetta da lui e perché, per questa volta, non lo farà partecipare alla competizione.
Una sola preoccupazione, la crescita umana dell’allievo
In questo modo si rinforza il carattere e la responsabilità del giovane, insegnandogli che nella vita nulla è dovuto.
Ovviamente bisogna prendere in considerazione caso per caso, ma credo che il principio generale valga.
Ho visto fior di persone (non le chiamo atleti o praticanti) che, senza la coppetta da vincere, abbandonano, vanno a cercare ambienti con gratificazioni esterne più facili… persone che hanno avuto insegnanti che non hanno saputo fargli scoprire le loro meravigliose potenzialità, che non hanno coltivato le qualità per comprendere quanto sia effimera la vittoria nel contesto più ampio della vita.
Scambiare mezzi e fini, le cinture
Stessa cosa vale per i gradi, le famigerate cinture delle arti marziali, che hanno (o dovrebbero avere) il solo scopo di indicare il livello tecnico raggiunto e la costanza in palestra.
Per l’allievo performante che si allena quando ne ha voglia è utile accedere all’esame o è forse meglio ricondurre l’obiettivo a una frequenza più assidua?
Invece, troppo spesso, i gradi vengono dati come rinforzo positivo (motivazione) o bloccati come rinforzo negativo (punizione). Facile gratificare l’allievo performante con cinture sempre più alte, insegnando tecniche anche più evolute del suo livello, dando un chiaro messaggio a chi si allena con costanza, ma per età o abilità motoria, non potrà raggiungere la performance del compagno. Questo è tanto più vero quando si sale di cintura.
Cosa se ne fa un’arte marziale puntata ai valori di persone che marciano solo stimolate dalla cintura?
Cosa se ne fa un’arte marziale puntata ai valori di cinture ottenute attraverso scorciatoie?
Nella quotidianità di ogni percorso, è fin troppo facile scambiare i mezzi con i fini. A volte è la leva più veloce per ottenere ciò che si vuole (qualsiasi cosa sia) dall’allievo. Oppure la strada più breve per rinforzare l’organizzazione e premiare i più collaborativi (o i meno critici).
Ma all’allievo fa bene?
Lo aiuta nella sua formazione di futura donna o futuro uomo?
L’unica domanda che deve farsi un maestro è “cosa serve al mio allievo per migliorare come essere umano?” agendo di conseguenza e tenendo bene a mente che la gloria della scuola (o le piccole rivincite contro nemici reali o immaginari) devono cedere al dovere di lealtà che abbiamo nei confronti dei nostri allievi.
Avere chiara la distinzione fra mezzi e fini è la base per un leader, qualunque organizzazione diriga, rispettare il vincolo di lealtà con tutti i suoi un prerequisito irrinunciabile (eh sì, anche i maestri devono mantenere e nutrire il vincolo di lealtà con gli allievi).

All’Hòa Phuong tengo in gran considerazione quanto sopra, lo ripeto spesso ai miei allievi e agisco di conseguenza, se stai pensando di avvicinarti al kung fu vietnamita tieni conto attentamente di questi aspetti, prima di ritrovarti in un ambiente non adatto a te.
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