
05 Apr Counseling misurare l’efficacia
Counseling misurare l’efficacia, strumenti e metodi
Misurare l’efficacia di un percorso di counseling o dell’introduzione di uno sportello permanente di counseling è il tema che più sta a cuore ai manager. Giustamente a cuore perché, al di là delle buone intenzioni riguardo a clima aziendale e benessere dei lavoratori, il manager deve portare risultati, valutare l’efficacia dei metodi introdotti in termini di performance e ROI (Return of investment) quindi avere strumenti oggettivi di misurazione.
Un tema caro anche ai counselor che possono misurare la loro efficacia, valutare aree di miglioramento, osservare e implementare gli interventi più efficaci o cambiare quelli che non portano risultati concreti.
Misurare l’efficacia di un intervento di counseling è possibile
Sgombro subito il campo da una perplessità che mi viene spesso sottolineata. Misurare l’efficacia di un intervento di counseling è possibile, nonché valutare in quali aspetti ha avuto più presa e dove è necessario comporre qualche aggiustamento.
Più di uno studio ha monitorato l’efficacia del counseling (e coaching) in molte realtà aziendali. Personalmente uso un approccio che si richiama al modello di Kirkpatrick, adattato alla realtà che devo affrontare e al percorso che viene richiesto.
Primo stadio: la reazione
Inizialmente si prende in considerazione l’interessamento che i soggetti mostrano all’intervento. Ovviamente ricorrere allo sportello di counseling è volontario. La misurazione delle richieste dà precisamente quanto i lavoratori sono interessati a questo strumento. Passare da tre richieste al mese a cinque alla settimana è la misura di un interessamento crescente per il counseling. Sollecitare interventi su altre aree della vita professionale indica la percezione di risultati raggiunti.
Inoltre, i soggetti interessati sono sollecitati a dare un feedback sulla percezione e soddisfazione dell’intervento. Immediatamente dopo ogni sessione. A medio termine dopo almeno tre/cinque sessioni e a lungo termine a tre mesi dalla fine dell’intervento. Questo permette di allineare, sempre più precisamente, la consulenza alla persona, alle sue capacità, esigenze e aree di miglioramento.
Il feedback è parte integrante del processo, aiuta il lavoratore a sentirsi parte attiva del percorso e il counselor a migliorare e mirare l’intervento.
Counseling misurare ciò che ha imparato e modificato
Il passaggio successivo è la consapevolezza di ciò che ha imparato con particolare rilevanza su convinzioni modificate, approcci diversi al lavoro o alla situazione particolare oggetto dell’intervento. Quali informazioni su di sé il soggetto ha ottenuto o modificato. Importante è chiarire quali comportamenti reali ha cambiato e il risultato ottenuto.
La rilevanza è data dalla possibilità di ottenere informazioni sull’efficacia delle metodologie utilizzate e dall’opportunità di verificare i risultati sulla reazione anche sotto un profilo più concreto. Per misurare questo aspetto si utilizzano test somministrati prima e dopo l’intervento, nonché l’efficacia degli approcci (azioni, procedure) prima e dopo la modifica.
Nella mia esperienza questo livello è misurato da un minimo di quindici giorni a un massimo di un mese. Ovviamente ogni persona è diversa e abbisogna di tempi diversi per mettere in pratica nuovi comportamenti e abitudini.
In una delle aziende questo aspetto era valutato in condivisione. Si trattava di un intervento di counseling sistemico rispetto a un team ed è stato molto importante condividere come, determinati nuovi atteggiamenti e approcci, hanno influito sul lavoro del singolo, sulla percezione dei colleghi e sul team in generale.
Il terzo passaggio coinvolge la misurazione della performance e dei cambiamenti lavorativi
Qui l’attenzione è portata all’effettivo utilizzo sul posto di lavoro delle capacità acquisite, dei nuovi paradigmi, delle valutazioni fatte su di sé e il proprio atteggiamento. Si deve cioè verificare quali cambiamenti nel comportamento lavorativo sono attribuibili al percorso di counseling. Anche in questo caso si procede a una valutazione antecedente e una successiva al percorso. Inoltre si misura le performance, riconducendo l’intervento agli obiettivi del lavoratore.
Un approccio utile è il coinvolgimento di tutto il team (o la squadra) in cui è inserito il collaboratore. Un momento di condivisione costruttiva che deve essere abilmente gestito dal counselor in modo che non diventi un processo. Nella mia esperienza ho notato che questo tipo di approccio aiuta a rendere più coeso il team e a evidenziare come, i colleghi, possono essere importanti risorse per il miglioramento.
È possibile (e utile) portare l’attenzione anche sui cambiamenti nella vita privata e i benefici collaterali che il percorso di counseling ha portato.
Quarto e ultimo: l’impatto sull’organizzazione
In questa fase si allarga lo sguardo all’intera organizzazione (o il team, reparto, divisone…) e si misura la performance nelle attività svolte, rispetto a un periodo antecedente. In questo caso, l’inferenza di fattori esterni può risultare decisiva nella misurazione di dati relativi all’azienda nel suo complesso, per cui il modello propone per questo livello l’utilizzo sistematico di gruppi di controllo.
Un’ottima idea è allargare la condivisone a tutto il management in modo da ricevere diversi contributi e valutazioni da più punti di vista e considerare un più ampio spettro di opzioni.
Le aziende sono abituate a valutare i loro processi per quantificare i benefici derivati e confrontarli con lo sforzo compiuto per realizzarli (ROI, indice del ritorno sugli investimenti). Anche il counseling deve adottare gli indicatori più appropriati per darsi degli obiettivi e dei Key Performance Indicators volti a misurare l’efficacia degli interventi e il ritorno per il committente.
La sfida alla misurazione dei vantaggi del counseling non finisce qui, ogni giorno decine di professionisti, sono impegnati in questo aspetto dando sempre più strumenti ai manager per comprenderne l’efficacia.
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